domenica 8 novembre 2009

Alda Merini, uno sberleffo all’ipocrisia-

La morte di Alda Merini ci ha privato dell’unica voce poetica vera e autentica, capace di riportare al centro i sentimenti e le emozioni, le ragioni del cuore e la libertà dai vincoli della poetica, dalla quale nessuno è stato capace di liberarsi: neanche chi è stato “laureato” col premio Nobel.

Al Suo funerale di Stato c’erano ministri, rappresentanti delle istituzioni, ma nessun appartenente dell’establishment della nostra repubblica delle lettere si è degnato di partecipare. Del resto, che aveva a che vedere con Alda, morta in condizioni di indigenza ma in vita fiera della sua povertà – in un’intervista televisiva aveva dichiarato che lei si sentiva ricca di ben altro che del denaro – i poeti che vanno piatendo gettoni nei premi letterari o facendo i tronisti nei talk televisivi? Cosa ci aveva a che fare un (purtroppo) fino a qualche anno fa un acclamato poeta che ha scritto una poesia sul cellulare?

La scomparsa della Merini ha richiamato all’attenzione il problema del rapporto tra follia e creazione artistica. Non voglio addentrarmi nel merito di tale questione per non correre il rischio di sconfinare in territori che non sono di mia competenza, ma prendo atto che nel XX secolo abbiamo avuto due casi letterari: Dino Campana e Alda Merini. Dino Campana fu osteggiato – Giovanni Papini, che ogni volta che ha provato a scrivere versi si è reso semplicemente ridicolo e patetico, gli diede senza complimenti del “matto col botto” – perché non era iscritto all’albo cioè era estraneo alle conventicole letterarie e non aveva formalmente scelto di militare in una delle tante correnti letterarie: gli stessi critici, nell’impossibilità di dichiararlo appartenente a una corrente, hanno dato un generico giudizio benevolo sulle sue poesie ma l’hanno classificato come originale poeta privo però di consapevolezza stilistica e formale.

Non vorrei che ciò si ripetesse con Alda Merini. Lei ha testimoniato la sua follia e il dramma che per essa ha vissuto: privata dell’unica figlia, che poi Le fu “restituita” per intercessione di Giovanni Paolo II, ha subito persecuzioni, vessazioni e diffidenze persino da parte dei vicini di casa perche “è stata in manicomio” cioè Le hanno rinfacciato il passato. Non la conoscevano nel presente ma, semplicemente, ricordavano.

Non vorrei, dicevo, che ciò si ripetesse oggi perché significherebbe svilire la forza e il vigore di un’ispirazione limpida e sincera e una lezione di vita esemplare che ci insegna come le nostre debolezze possono diventare i nostri punti di forza, e ci insegna soprattutto a testimoniare senza paura senza ipocrisia la sostanza della nostra umanità.